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DIALETTI SVIZZEROITALIANI                                     DIALETTI DEL MONDO

 

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ABCC' DEF GIJLMNOPQ R STUVZ

  


Sa - San (santo, agg., unito al nome di persona): Sa Jüsep = San Giuseppe, Sa Jüri = San Giulio, ecc. Sa Martìn = San Martino, anche nome di una frazione di Quinto tra Deggio e Catto. Sa Niculè = San Nicolao (san Nicola di Bari), equivalente dell'odierno Babbo Natale (Santa Claus) atteso dai bambini il 6 dicembre con mandarini e spagnolette. Un tempo si diceva che a Piotta il sole rimane assente "da San Carlo a Sa Jüri", ossia dal 4 novembre al 31 gennaio (deve dunque trattarsi di San Giulio di Orta (†390), commemorato appunto il 31 gennaio). Come si vede, San Carlo mantiene la n, forse perché santo più recente rispetto agli altri. Sostantivo è sant, plur. sènç. - (sencc).

Sachè - Dimenticare, smarrire. "i so piü indó chi l' ò sacó" = "non so più dove l'ho lasciato". In casa abbiamo l'espressione scherzosa "sachè la gamba" = andare in giro, a spasso, bighellonare: "l'é sempra in gir a sachè la gamba" si dice di uno che non è mai a casa. Il LSI dà anche i significati di scuotere, agitare, muovere per Faido e Dalpe, che sembrerebbero meglio spiegare l'espressione suddetta.

Sacramantè - Imprecare, "sacramentare", bestemmiare.

Sacramèsc (sc = shk), sacranon, sacrapantu, sacrapanton d'Ulanda - Imprecazioni usate per evitare di dire "sacramento". (sacramesc)

Sadanò, sancadanò, sandanò, sanò -  Se no, altrimenti. Sancadanò lo dicono i miei cugini di Deggio.

Saéta - Fulmine, saetta. Fig. bambina molto vivace. (saeta)

Saiòtro, saiòtru - Cavalletta, nome generico > Caelifera (it.wikipedia). Airolo: saòtru - (saiotro, saiotru, saotru)

                                                                               Saiòtro - foto Tabasio


Salamöria - Salamoia. V. Saramöria.

Salata -  Insalata.

Salédra, plur. salédri - 1) Canaletto semicilindrico di legno (ottenuto dimezzando una pertica di larice longitudinalmente e togliendone l'interno) o latta per condurre acqua all'aperto; 2) Grondaia (senso oggi più usato). Fig.: saledra si usa (per lo meno nella mia famiglia) anche per bambina, ragazza o donna un po' leggera e "inarièda" a mo' di rimprovero o qualche volta anche di vezzeggiamento, "ti sé pròpi 'na salédra". Per un mio zio piuttosto misogino ogni donna era una salédra, in senso ovviamente spregiativo. Beffa op. cit. dà il termine in senso fig. col significato, da me mai sentito, di persona allampanata - (saledra)

                                                                  Una ormai rarissima salédra di legno - foto Tabasio
 

Salvèdi - Selvatico, ritroso, poco socievole, timido. Sost. m.: animale selvatico. I salvedi = la fauna. Soprannome degli abitanti di Personico. - (salvedi)

Samantéri - Cimitero. Airolo: scimitéri. Già sentito anche scimintéri. Il VSI riporta anche scimentéri (Dalpe, Prato). (samanteri, scimiteri, sciminteri, scimenteri)

Sambüi - Sambuco, Sambucus (it.wikipedia). In particolare il sambuco montano, o sambuco rosso, Sambucus racemosa (fr.wikipedia - foto Google), ma anche il sambüi néiro, sambuco nero, Sambucus nigra (it.wikipediafoto Google), le cui piante esistenti nell'alta Leventina sono tuttavia trapiantate, indica Beffa cit.

Sameè, sameiè - Somigliare. "Ut samea a ti" = somiglia a te. 

Sanababìç - Dialettizzazione di son of a bitch, regalo linguistico dello zio Sam "det Merica". - (sanababic, sanababicc, sanababich)

Sanchìn - Mancino. Lo dice la mamma, aggiungendo che così dicevano a casa sua ad Ambrì. Sul LSI non lo trovo e neppure su Beffa. - (sanchin)

Sangal ? (plur. sangài) - Primula, Primula veris (it.wikipedia - foto Google), ad Ambrì (fonte: mamma, che usava solo il plurale). Ad Airolo: g'aig'alina (v.). - (sangal, sangai)

Santanziè - 1) Sentenziare, specialmente nel senso di: esprimere giudizi categorici, o presuntuosi e inopportuni, parlare in tono sentenzioso, altezzoso, con sussiego. 2) Intimare, raccomandare vivamente. 3) Dire qualcosa a qualcuno in modo chiaro e ripetuto,  perentorio, in espressioni come: "e paissè ch'ii évi santanzió", "ii l'évi santanzièda" = "e pensare che glielo avevo detto e ripetuto in modo chiaro". Santanziéuru = che parla con sussiego, altezzoso (LSI per Airolo).

Santificétur - Bigotto. Fonte: mamma. Dalla prola latina all'inizio del Pater noster: "santificetur nomen tuum". Beffa per Airolo dà Santiàmen nello stesso senso: dalla formula latina che accompagna il segno della croce "In nomine patris et filii et spiritus sancti, amen" . - (santificetur, santiamen)

Santimént - Buon senso, senno. Sénza santimént = scriteriato, privo di senno, di avvedutezza. - (santiment)

Saramöria - Salamoia. C'èrn in saramöria = carne in salamoia, pezzi di carne messi a strati in un contenitore (budéla), con sale e pepe tra uno strato e l'altro: V. budéla. - 

Sarè - 1) Chiudere; 2) Salare.

Saréscia - Salice.  Da qualche parte ho letto o sentito che si intende in particolare il salice bianco, Salix alba (it.wikipedia - foto Google). Beffa (Airolo) dice invece che saréscia o sürél corrisponde a Salix caprea (it.wikipedia - foto Google) e dà sàras per Salix alba. - (sarescia, saras, sürel, sürell)

Saró - Agg.:1) chiuso; 2) salato (plur. saréi, fem. sarèda). Sost.: carne salata, come salame, prosciutto, coppa ecc. (f. sarèda). (saro, sareda)

Saròdan (f. saròdna) - Serotino, tardivo: di terreno sfruttato tardi, mucca che ha partorito tardi (a primavera), vitello nato tardi. In piena parete nord del Pizzo Forno ho trovato sulla carta il toponimo Scengio Sarodan, Scenç Saròdan. Se cercavano l'erba fin lassù dovevano essere davvero a corto! Contrario: tampurìu (v.) - (sarodan, sarodna)

                                                                     Scenç saròdan, Pizzo Forno - foto Tabasio
 


Saron - Siero residuo della fabbricazione del formaggio. Ad Airolo e in Val Bedretto: sarüda. Un tempo usato correntemente come bevanda, oggi dato ai maiali, dice Beffa cit.

Sartè - Rovinare, guastare, detto di filo della falce, della scue, del coltello ecc.. 

Sassinè - Danneggiare gravemente, rovinare (letteralmente: assassinare). Lo usa mia mamma ma è in disuso.

Satì - Fine, sottile (f. satìa)

Satmèna (plur. satmèi) - Settimana - (satmena, satmei) 

Sautaréscia - "Saltarescia", voce oggi morta: 1) compito di sorveglianza e repressivo del saltaro (v. sautéi); 2) territorio e giurisdizione di spettanza di un vicinato (istituzione precedente il patriziato) 3) tassa che i non vicini residenti nel vicinato dovevano pagare per l'indennizzo del servizio di saltaro. 

Sautéi - "Saltaro" o "saltario", sorta di guardia campestre ai tempi dell'ordine viciniale, mansione svolta in rotazione annuale in parallelo alla normale attività di contadino. V. Fransioli, "Il Vicinato" cit. pp. 66-67. Voce non conosciuta a Quinto e Varenzo, fino a metà '900 si usava l'it. camparo, oggi l'üscér, leggo in MDT p. 1950.

Sbadirè - Spalare. Sbadirè néu = spalare neve. 

Sbiés - Sbieco. Da sbiés = di sbieco, di traverso, obliquamente - (sbies, sbiess) 

Sbiöisc - Pallido, smorto. Fig.: velato e simili, in senso meteorologico, dice la mamma.

Sbodè, sbudè - v. trans. demolire, diroccare, disfare; intrans. cadere in rovina, diroccarsi (di edificio), lett. "sbottare". Sbudó = diroccato, téç sbudó = stalla diroccata, tiç sbudéi = stalle diroccate, cassina sbudèda = cascina diroccata. Düméng'a sbudèda = domenica grassa (che apre il carnevale). - (cassina sbudeda, dimenghia sbudeda)

Sbragè - Sbraitare, parlare a voce troppo alta. Sbragion = chi parla a voce troppo alta.

Sbric - Dirupo, v. bric.

Sbrisòia, sbrisòra - Pustoletta, vescichetta, brufolo, foruncolo. Pl.: sbrisòi. - (sbrisora, sbrisoi)

Sbrodè - Tagliare i rami di un albero, sfrondare. Più o meno sinonimo di ramè. Strozzi per Biasca precisa tuttavia che sbrodà si riferisce a un albero in piedi, con potatura direttamente al tronco, per togliere rami che ostacolano il passaggio o danno un'ombra indesiderata, mentre sramà si usa per un albero abbattuto.

Sbrofè, sbròfè, sbrufè  - 1) Spruzzare 2) Scoppiare a ridere a bocca chiusa - quando non si può fare apertamente, come in chiesa o a un funerale dove a volte "u vegn adös la narögna (v.) - cosa che implica una sbrofèda (o sbròfèda o sbrufèda = spruzzata) di saliva... Sbrof = spruzzo. In un sbrof = in un attimo, sinonimo di in un bof. Lüina sbrofa = valanga di neve polverosa (in Val Bedretto e ad Airolo, v. lüina). Lurati "Terminologia" (p. 53 e 173) dà per la Val Bedretto sbrofè = soffiare con rumore, "sbruffare" caratteristico dell'animale inquieto, specie le capre, manifestazione di inquietudine o paura. In un senso simile io conosco solo sciè (v.). Non ricordo più che genere di "sbruffo" facessero le capre, ormai scomparse da decenni dalle mie parti. - (sbrofè, sbrofè, sbrofeda, sbrufeda, sbrof)

Sbrofèda, sbrufèda - Spruzzata; spruzzatina (di pioggia), leggera nevicata. - (sbrofeda)

Sbruiè - Scottare con acqua bollente il maiale per togliere più facilmente le setole (sidri in dialetto): sbruiè 'l pörc'.  (Jelmini, "Glossario" cit.)

Scaf - Cassetto (lo inserisco dopo aver sentito cassìt in un ristorante di Airolo)

Scàia, plur. scài - 1) "Scheggia" di roccia, accr. scaion; 2) Scriminatura dei capelli; 3) Lisca di pesce, nel senso delle piccole schegge ossee che rischiano di infilzarsi da qualche parte nella faringe quando si mangia il pesce. Lisca nel senso di spina dorsale dei pesci è résc'a. Il LSI dà schéia per Quinto, parola mai sentita. - (scaia, scai, resc'a)

Scalfin - Parte inferiore della calza fatta a mano, staccabile dalla grèt (dorso) per facilitarne la riparazione. Info: cugina di Deggio.

Scaléuro, scaléuru - Scala esterna di sasso (o cemento). La scala di legno, interna alla casa o a pioli, si dice sc'èra. - (scaleuro, scaleuru)

Scamon - Correntino (? i dizionari non concordano nelle definizioni, qualcuno dice "corrente", su qualche testo ho trovato "puntone"): nell'orditura dei tetti, ciascuno dei travicelli disposti obliquamente sopra gli arcarecci, ossia le travi orizzontali di sostegno, dal crümanè (v.) al rasè (v.). Plur. scamói, che è anche il soprannome degli abitanti di Osco, dove scamon = trave, tondone (trave non riquadrata) (LSI). Ad Airolo oltre a scamon esiste anche il termine c'avàl, plur. c'avài (Beffa cit.) - (scamoi, c'aval, c'avai)

                                                                                Scamoi - Foto Tabasio


Scanàs - Spellarsi, sbucciarsi. Detto di spellatura che avviene a poco a poco, provocata da sfregamento (es. piaga da decubito). Non è dunque sinonimo di scartanàs. - (scanas, scanass)

Scandra , plur. scandri - Scandola = sottile tavoletta di legno, usata per la copertura di tetti. Airolo: sc'andra.  

Scar - Spino, frangicagliata, utensile per eseguire la spinatura, ossia per rompere e agitare la cagliata nella preparazione del formaggio. Airolo e Val Bedretto: sc'ar. Lurati "Terminologia" (p. 137-38) dice che era il vecchio strumento autoctono, sostituito negli anni '20 dall'arpa (v.).

                                                                     Scar, Museo di Leventina - foto Tabasio

 

Scarpè - Lacerare, strappare, sbrindellare (un vestito), cadendo o rimandendo impigliati; ferire, sbucciare (produrre una escoriazione). Beffa dà anche scarpè = strappare a mano e riporta l'espressione scarpè l nès = strappare a mano il cervino (erba di montagna pungente, v. nès). La stessa espressione significa anche sbucciarsi il naso.  Scarpàs = sbucciarsi (un ginocchio, un braccio, ecc.), escoriarsi. Fig. lavorare duro, in frasi negative tipo: "u s'é bé mia scarpó tant" = non si è ammazzato dal lavoro ("al s'è mia scarpà 'l cü", direbbero a sud del Piottino o perlomeno della Biaschina. Dal lat. excarpare = zerreissen = strappare, sracciare; lombardo scarpà, sursilvano scarpar (RNB, II, p. 133). - (scarpas)

Scartanè, scartanàs - Sbucciare, spellare, sbucciarsi, spellarsi: si dice di escoriazione causata d'un colpo solo, in un incidente. Non è dunque sinonimo di scanàs (v.). Airolo sc'artanè - v. scarpè, scarpàs - (scartanas, scartanass)

Scartàri - Quaderno di scuola (ai tempi della nonna). - (scartari)

Scartèija, sc'artèija e deriv.  - v. sgartèija

Scascìa - Cispa, "gnola di öç", umore viscoso prodotto dalla congiuntiva degli occhi, che si rapprende all'estremità delle palpebre. Airolo: sc'ascìa = cispa, fig., sost. m.,  spregiativo, persona piccola: "maladetu sc'ascìa" (Beffa cit.). - (scascia)

Scassè, scassè fò - Cancellare, con la gomma o con un tratto. Airolo: sc'ascè (fò).

Sc'atè - Schiattare, scoppiare con un colpo secco, schioccare. 

Scavàsc - Scoscendimento, lo scavo causato da uno scoscendimento. Scavascè = franare. - (scavasc)

Sc'avisi - Schifo, ad Airolo e in Val Bedretto. Altrove: schivi.  

Scazzòia - Acetosa, erba brusca, Rumex acetosa (it.wikipedia -scheda fungoceva.it - foto Google) e anche Rumex scutatus (romice scudato o acetosa francese, scheda fungoceva.it), in particolare lo stelo e la spiga di colore rosso. Mia zia di Catto dice cazzòia. Ad Airolo sc'azzòia. Il LSI dà altre varianti ancora, sempre al plurale: gazzòi (Airolo), g'azzòi e giazzòi (Bedretto). V. anche alla voce Pan e vin. - (scazoia, scazzoia, cazzoia, gazzoia, scazzoi, scazoi, cazzoi)

                                                                             Scazzòi - foto Tabasio


Scazzon - Scazzone, piccolo pesce d'acqua dolce, Cottus gobio (it.wikipedia - foto Google), ad Airolo sc'azzon, dice Beffa cit., dà anche il senso figurato di persona piccola e tarchiata. Beffa lo dà come sinonimo di ghiozzo, che però non è proprio lo stesso pesce -> v. ANIMALI IN LEVENTINA.

Scégu - Cipiglio, sguardo fiero, grinta. Detto a volte con ammirazione di persone vecchie ma ancora molto vivaci. Corrisponde forse all'italiano sussiego = contegno grave e sostenuto, da cui traspare una certa altezzosità (Garzanti online), ma con un significato più positivo. Non lo trovo sul LSI. - (scegu)

Scéna - Cena, pascolo delle mucche dopo la mungitura sull'alpe. Fè scena, scianè = cenare. V. scianè = cenare. - (scena)

Scénç - V. Scéngia

Scéncia - Trave del tetto della stalla che poggia longitudinalmente sul muro, plur. scénç, termine airolese (Beffa cit.), a Quinto è detta rasè (v.). Termine più recente: radìs. - (scencia, scencc)

Scéngia, scénç - Cengia, balza, esigua striscia erbosa tra pareti rocciose, per estensione luogo esposto e pericoloso, dove è meglio non finire: v. inscengiàs. LSI, Lurati "Terminologia" cit. e Beffa cit. danno scénç singolare maschile. Idem Franscini cit., il quale precisa che può essere erboso o anche coperto di alberi. Jelmini "Glossario Piora" dà invece scengia, e così verrebbe da dire anche a me. Keller ("Beiträge" cit. p. 218) dà scenç = luogo erboso, chiuso tra rupi, donde le capre non possono uscire, e scéngia = corda lunga che usasi p. es. per trarre le capre fuori dal scenç. Ma senza riferirsi alla Leventina. Per scénç maschile depone anche il Cengum trovato in uno scritto del 1229 (MDT, RL, p. 41). Il plurale è in ogni caso scénç. V. foto sotto la voce Saròdan. - (scengia, scenc, scencc)

Schéija - Scheggia. Schéija è toponimo dalpese/faidese indicante il dirupo che dal "cò du Cioss" scende verso Faido sulla sinistra della Piumogna. C'è anche un sentiero (santéi Schéija) che ormai più nessuno percorre. V. anche Gròt di Péghèi - (scheija, scheisgia)

Schèija - Stampella. A Dalpe: bastone di legno con impugnatura ricurva, detto altrove anche gianéta. Plur. schèisc. - (scheija, scheisgia, scheisc)

Sciablon - Persona che cammina strascicando i piedi. A casa mia (non so se sia solo lessico famigliare) usiamo la parola, soprattutto al plurale - sciablói - per indicare scarpe alte, per lo più molto usate (ma anche nuove, tipo moon boot), che sembrano troppo grandi o sono sformate. Beffa dà anche il verbo sciablè per "camminare in modo sgraziato". Il LSI dà per Dalpe sciablon = persona che cammina rumorosamente e sciablonè = camminare rumorosamente. (sciabloi)

Scialèc - Girovago noto, pare, in buona parte della Leventina, in particolare a Dalpe, nella prima metà del secolo scorso, morto non so quando né dove,  purtroppo prima che io potessi conscerlo. Viveva di piccoli lavori e dormiva in un cassone, ho sentito dire. Mi hanno indicato a Dalpe che si chiamava Severino Genelli. Consultando per caso un "Elenco dei fanciulli" della scuola di Prato degli anni 1889/90 ho scoperto un Severino Genelli (un anno scritto Gianelli) di Carlo da Chironico, nato il 22.3.1881. Il suo soprannome è rimasto nelle espressioni (spesso sentite dalla mamma nei miei riguardi, il che me lo ha reso oltremodo simpatico) coisc mé Scialèc, trèç sü 'mé Scialèc, trèç sü péisc che Scialèc = vestito come Scialec, peggio di Scialec, per dire davvero malvestito. Mario Fransioli nel suo libro "Dalpe" gli dedica una pagina e ne pubblica anche una foto ("Scialèk, girovago locale", p. 249). - (Scialec, Scialecc, Scialek)

Scialòria - Facezia, storia divertente, barzelletta, panzana. Scialoriè, scialuriè = raccontare storie divertenti. Scialorion, scialurion = chi racconta storie divertenti. (scialoria)

Sciampa , plur. sciamp - Zampa. Pòrcu sciampin = perdindirindina!

Scianè (pronunc. shanè) - Cenare. Si dice per le persone ma anche per le mucche (pasto dopo la mungitura). Sost. scéna = cena, pascolo dopo la mungitura sull'alpe.

Sciantarösc - Erba cipollina, Allium schoenoprasum (it.wikipedia - foto Google), dicono mia mamma, i cugini di Deggio e anche Beffa. LSI conferma, ma dà scintarösc per Quinto. Jelmini in Glossario Piora cit. dà invece scimarösc  (v.).

Scianz (pronunc. shanz) - Mazzo legato (di fiori), cespo (di insalata). Il LSI lo dà per Quinto nel senso, mai sentito, di cespuglio e anche di sciame. 

Sciarbotè, sciarbutè - Rapprendersi, raggrumarsi del latte che va a male. Termine di cucina anche per "impazzire" = raggrumarsi di salsa o crema a base d'uova quando i diversi ingredienti non si amalgamano, si scompongono: la maionese è impazzita

Sciarscianè - Ritagliare un cerchio di corteccia per farne una binda (v.) da formaggio.

Sciarscéla - 1) Sarchiello, zappetta. Airolo: sciarscèlaSciarscélè = sarchiare: smuovere, rompere il terreno in superficie, sminuzzandone le zolle con il sarchio o altro strumento adatto, per ripulirlo dalle erbacce e attivare la respirazione delle radici. 2) Fig. ragazza fatua, leggera, poco seria. - (sciarscela)

Sciàt (pron. shatt) - Rospo comune, Bufo bufo (it.wikipedia - foto Google). Non solo lev. - (sciat, sciatt)

Sciavata - Ciabatta. Usato come insulto per donne e vacche. Sciavatin = ciabattino.

Sciè (pronunciato sci-è) - Sibilare, soffiare, fischiare, emettere una sorta di sibilo come una "sh...."  (di alcuni animali quando si sentono in pericolo). I camos i scian o i süran? I scian, risponde Beffa op. cit., che dà anche un nome - scion - a "quella specie di fischio che il camoscio lancia specialmente se sorpreso o quale segnale d'allarme per il branco". Beffa dà anche sciè per soffiarsi il naso, senso che non ho mai sentito. Sciare si dice schiè (pron. shki-è) - 

Scighéra, scighéira - Foschia (non solo lev., anche milanese). Beffa op. cit. dà, per scighéra, nebbia portata dal vento (Nante); foschia, nebbia fredda che provoca la calaverna (fenomeno visibile in particolare sopra il fiume Ticino, p. es. nella zona degli Audan vicino ad Ambrì, ndr) e, a volte, la calaverna stessa (rivestimento di ghiaccio su oggetti al suolo esposti al vento, in particolare sugli alberi). - (schighera, scigheira)

Scign - Gesto, segno (con le mani, in particolare di minaccia. Verbo: scignè.

Sciguéta - Civetta, Athene noctua (it.wikipedia - foto Google). Ad Airolo
sciguèta (Beffa cit.). Non so se sia termine anche locale oppure importato. Ho sentito una volta la mamma chiamarla c'aura pèrza = capra sperduta, appellativo che però si riferisce più probabilmente all'allocco (
Oróc, uróc). V. alla voce C'aura. In senso figurato sciguéta = smorfiosa, vezzosa, detto di una ragazza. - (scigueta)

Sciguéton - Vitello d'ingrasso, nutrito a latte anche dopo le prime tre settimane (Lurati "Terminologia" p. 50). In senso figurato: giovane grande e grosso (sottinteso: e un po' viziato e tonto Plur. sciguetói. - (scigueton)

Scili (s. m.: u scili) - Monetina/e versata/e come offerta in chiesa durante la messa. Dal tedesco Schilling = scellino, dice Bontà cit. (pp. 20-21)

Scilostro, scilostru - Cero pasquale (non solo lev., anche lombardo)

Scigögna - Braccio orizzontale girevole e munito di gancio. Airolo e VB: scirögna (Beffa cit., Lurati "Terminologia", che lo deriva dal latino ciconia = cicogna, suppongo per la similitudine con l'uccello in questione). Era posta a lato del focolare e serviva per mettere e togliere, senza troppo sforzo, il paiolo o sull'alpe la caldaia dal fuoco (non solo lev., detto scigogna o scigögna anche in Lombardia).

                                                          Scigögna (poco visibile) con caldaia (caudéra) appesa, Museo di Leventina - foto Tabasio 


Scimarösc - Erba cipollina, secondo Jelmini Glossario Piora. Nel LSI non lo trovo. Variante di Lurengo, villaggio dell'autore? V. sciantarösc -

Scìmas - Cimice - (scimas)

Scióira - Diarrea, dissenteria. Usato anche scherzosamente per sciora = signora. Verbo: scioirè. Agg. scioron. Plur. scioiroi, soprannome degli abitanti di Piotta per ragioni - se ce ne sono, a parte qualche inimicizia generica tra villaggi - che ignoro. E per non dire scioira si dice "la maratìa di chi da Piòta". - (scioira)

Sción (pronuncia: sci-on) - v. sciè - (scion)

Sciondrè, sciundrè - Sprofondare nella neve -

Sc'òp - Fucile, schioppo. Sc'opatèda, sc'upatèda = fucilata, colpo di fucile. 

Scior - Signore, ricco. Scior si usava un tempo nel senso di signor davanti al cognome solo per i villeggianti, chiamati genericamente i sciori. Tra paesani non si usava del resto il cognome e ci si dava del tu. E signor (u signor) è solo Gesu Cristo. Il termine sciori era usato ironicamente anche per i maiali, insieme a inglìs (inglesi) e francìs (francesi).

                                                                                   Sciori - Foto Tabasio

 

Scira - Cera.

Scirésa - Ciliegio, Prunus avium (it.wikipedia - foto Google), e il suo frutto, la ciliegia. Scirés c'aura = rovo rupestre, Rubus saxatilis (foto Google), a Dalpe, indica Beffa cit., rovo erbaiolo, secondo il LSI. Il nome, "ciliege della capra", indica i piccoli frutti rossi di questa pianta.

Scis - Astore, Accipiter gentilis (it.wikipedia - foto Google - scheda caccia-ti) eventualmente anche la poiana, Buteo buteo (it.wikipedia - foto Google - scheda caccia-ti)Sganzini lo identifica con l'astore, la mia zia Carmen, che ne aveva uno imbalsamato in casa, con la poiana. Il LSI e Beffa menzionano entrambi e lo danno come falco o uccello rapace diurno in genere, aquila esclusa, la quale non ha un nome in dialetto leventinese. In ogni caso grosso falco un tempo temuto per le incursioni nei pollai, per il quale esistevano un tempo gli spavéntascis, equivalenti degli spaventapasseri. Leggendo qua e là sul web le schede dei vari rapaci mi sono convinto che scis è in primo luogo l'astore, in più luoghi menzionato come terrore dei pollai. Lurati (in Lurati-Pinana p. 52) dice gheppio, Falco tinnunculus (descrizione/foto, foto Google), che però è un falco piccolo, che non prende galline,  e a mio avviso è da escludere dalla categoria "scis". In vecchi documenti valmaggesi si parla di cisso, scisso o sisso, nome che sembra essere dato come sinonimo di aquila reale, Aquila chrysaetus (descrizione/foto, foto Google) o comunque comprenderla: v. in proposito l'interessante libro di Marzio Barelli, "Lupi, orsi, linci e aquile: una ricerca storica sulle taglie pagate nel Ticino per gli animali feroci", Prosito, Jam edizioni, 2005, pp. 189-199. Probabilmente si faceva parecchia confusione fra i vari rapaci diurni, per nulla facili da distinguere per un non specialista (per me in ogni caso!). V. anche alla voce listó - (sciss, spaventascis, spaventasciss)

 Scìspat - Zolla erbosa, piota. Fig. scherz.: capelli arruffati, zazzera. - (scispat, sciscpat)

Scistra - Scintilla, favilla. Plur. scistri. - (scisctra)

Scistron (pl. scistrói) - Mirtillo nero, Vaccinium myrtillus (it.wikipedia -foto Google). I mirtilli commestibili vanno distinti dai falsi mirtilli (Vaccinium uliginosum (foto Google), mirtillo blu o falso, Moorbeere, airelle des marais, bog blueberry), chiamati ad Airolo scistroi dét l'orz (mirtilli dell'orso), a Fontana scistroi du lüf (mirtilli del lupo) e a Villa Bedretto scistroi salvèdi (mirtilli selvatici), secondo Beffa op. cit., che li definisce "insipidi e quindi non ricercati". Questi ultimi si distinguono immediatamente dai primi perché hanno le foglie verde scuro, mentre i mirtilli buoni le hanno verde chiaro. La polpa poi è biancastra, mentre i mirtilli buoni ce l'hanno color rosso vino. Oltre ad essere insipidi credo che diano anche una bella diarrea (scioira), così almeno era successo a miei compagni d'infanzia che non li conoscevano! Claudio Strozzi, che a Biasca li chiama scistron dri c'auri o dri camós, dice che il consumo abbondante causa perdita d'equilibrio, ma non sa se a causa dei mirtilli stessi o di micromiceti da cui vengono parassitati. A me sembra che da bambini li chiamassimo genericamente scistroi di bis. - (scisctron, scistroi, scistrun, scistrui)

    Scistroi  - foto Tabasio                                             Scistroi det l'orz - foto Tabasio.

 

Sciuàta - v. Svata -

Sciüc - Ceppo = parte inferiore del tronco di un albero, da cui si diramano le radici; anche grosso pezzo di tronco da ardere o destinato a vari usi, p. es.  come appoggio per spaccare la legna, in questo caso sinonimo di zap. Dimin. sciüchétDormì 'mé m sciüc = dormire come un ghiro, profondamente. Airolo sciüc'. - (sciüch, sciücch)

Sciüchè - Troncare (spezzare violentemente con un colpo netto), ammazzare. Airolo sciuc'è.

Sciüdè - Essere sul punto di, rischiare di, stare per. Verbo in disuso, personalmente non lo uso e non l'ho praticamente mai sentito usare. "I sciüdàum rabautè" = "rischiavamo di capottare", dice Alberto Jelmini nel suo breve racconto-poesia Ul sgipp, ascoltabile su Youtube e ripreso in una canzone da Marco Zappa (v. Jip). Il LSI lo dà alla voce scidà. Participio passato è sciüdüt (Beffa) o sciüdü (mamma) e non sciüdó come vorrebbe la regola per i verbi della prima coniugazione: i ò sciüdü(t) crapè = ho rischiato di crepare.

Sciüéi - Gerla a bacchette (scodas) unite (diverso dalla jèrla, a bacchette distanziate per il fieno). Forse a Ronco: svéi, ad Airolo: sciuéi, sciüöi, Beffa op. cit. Parlè fò (fòra) da 'm sciüei = parlare a vanvera (espressione sentita a Deggio. - (sciüei)

                                                                               Sciüéi - foto Tabasio


                                     
Scòcia , plur. scòç - 1) Vescica sulla pelle causata da attrito (uso di pala, piccone, forca, rastrello da parte di persone non abituate) o ustione. 2) Scotta, liquido residuo nella fabbricazione della ricotta (züfa, zigra, v.), sottoprodotto della fabbricazione del formaggio.  Usata per risciacquare gli attrezzi per la lavorazione del latte o  per darla ai maiali > scucè = abbeverare i maiali (Jelmini cit.) - (scocia)

Scódas (sost. m. inv.) - Vimine, "bacchetta": ramo flessibile (in genere di nocciòlo), scortecciato e tagliato longitudinalmente in modo da essere intrecciato per fare gerle, canestri e simili. Airolo: scùdas. Per la Val Bedretto Lurati ("Terminologia" p. 70) dà scùdas = virgulti di salice o betulla per la scopa della stalla. - (scodas, scudas) 

                                                                           Scodas - foto Tabasio


Scòssa - Grembo, nell'espressione tignì in scossa = tenere in grembo, seduto sulle proprie ginocchia. Da scòssa dovrebbe venire scossè, scussè = grembiule.

Scouzì, scuuzì - Sopportare (in frasi negative). "I pòs mia scouzìl" = "Non lo posso sopportare". Lo dice mio fratello, ma la mamma non conosce questo verbo (io neppure). Probabilmente recente e rifatto sul calco del ticinese scüzzii, con lo stesso senso (v. LSI).

Scramìn - Spannarola, sinonimo di binéira (v.), dice Jelmini "Glossario" cit. per Quinto. Ad Airolo botticella per la panna o la ricotta, afferma invece Beffa cit. Anche in Val Bedretto, secondo Lurati ("Terminologia p. 141), cramin o scramin è (era)  un recipiente di legno alto 80-90 cm per conservare la panna prima della lavorazione (burro). - (scramin, cramin)

Scravàt - Scarafaggio. - (scravat, scravatt)

Scrìbar - Scrivano, segretario, propriamente il segretario del landfogto al tempo della dominazione urana. Rimasto solo come soprannome. Dal tedesco (svizzero) Schreiber, sv. ted. Schriibär o simile. - (scribar)

Scruénc', Scrüenc'  - Scruengo, piccola frazione di Quinto di fronte a Piotta, sul lato sinistro del Ticino. Sembra che fino al '4-'500 a Piotta ci fosse solo qualche stalla e il villaggio fosse a Scruengo. Ignoti i motivi di questa "emigrazione". I dam da Scrüénc' = le dame di Scruengo: leggendarie belle signore, mi pare tre, che la domenica andavano in barca a messa a Quinto (il che presuppone l'esistenza di un lago), o, secondo una versione in cui si sfidano apertamente le leggi della fisica e di cui non ricordo la fonte, addirittura a San Martino, dove ci sarebbe ancora infisso nella chiesa o nei pressi l'anello cui attraccavano il natante. E il prete aspettava di vederle per suonare la campana in segno di riconoscenza per la loro opera benefattrice. Alina Borioli ("La campana di Scruengo", in "Leggende" cit., pp. 22-24) fornisce una versione diversa, in cui la barca non è usata tra Piotta e Quinto, ma sul Lago Maggiore, per far rifondere a Sesto Calende e benedire una campana di "sonorità speciale" estratta dalle rovine di Scruengo, un tempo villaggio con tanto di castello (le dame erano le castellane), torre e grande chiesa, ma travolto un giorno da "frana, valanga, alluvione, non si sa"... Sarebbe interessante indagare se fu effettivamente un disastro del genere a determinare l'"emigrazione" a Piotta cui ho accennato sopra. Ma se è avvenuto nel '4-500, qualche documento dovrebbe pur parlarne. Beffa riferisce di una leggenda analoga ad Airolo, in cui i dam da Pautàn, in Val Canaria, scendevano a messa a Madrano, e (citando Mario Fransioli) di un'altra simile a Dalpe, nella quale erano i dam da Piténc', le dame di Pitengo, a scendere a messa a Prato. - (dam da Scruenc', dam da Scruench, dam da Pautan, dam da Pitenc', dam da Pitench)

Scüfion , plur. scüfiói - Cumulo di neve soffiata dal vento (cüs), ammasso sporgente di neve soffiata, accumulatosi in particolare su una cresta: se cede causa una valanga. Ad Airolo e in Val Bedretto cufion (plur. cufioi), a Nante cufió (Beffa cit.). Scüfion è usato anche a Biasca (Strozzi). In sursilvano c'è  cuflau = gewehte Schneemasse = massa di neve soffiata, e  cufla =  Schneegestöber = tormenta di neve; dal lat. conflare = gonfiare (RNB II, p. 106).

Scugiröu, scügiröu (plur. -öi) - Banco di neve che si stacca e scivola su un pendio , valanga di piccola entità. Corrisponde al tedesco Gleitschneelawine, in francese avalanche de glissement. Non sono ben certo se sia u o ü. In un testo di Alberto Jelmini, che è di Lurengo, ho trovato scugion in un senso che mi pare questo (v. alla voce urüm). Ad Airolo cugiö (v.), in Val Bedretto scugirö. -  

Sc'ügiarè, sc'üugiarè, sc'öugiarè e simili (Shc'-) - Slittare per divertimento, con la slitta o scivolando sulla neve o il ghiaccio con le scarpe. In Val Bedretto sc'üsarè = lasciarsi scivolare, slittare, oggi (1978) anche sciare, indica MDT, RL, p. 772, citando come informatore Diego Orelli, che fa derivare la parola da scugirö (v.). Io vedrei piuttosto una eventuale derivazione in senso inverso. Su questa voce con altre variazioni v. anche le annotazioni di Rosanna Zeli in MDT, RL, p.787, che dà anche sc'öija = slitta a Quinto. V. inoltre qui sotto alla voce Stügiarè. Mi chiedo se il verbo non possa venire da c'üu = culo, con il significato originale di nè jü sul c'üu = scivolare sul sedere (si faceva anche sui prati senza neve con sotto un cartone quando ero bambino).

Scüra - Scuola (arcaico: lo diceva mia nonna, oggi si dice scòla). Ad Airolo, dove il termine ha resistito maggiormente: sc'üra. -

Scüréi - Chierichetto. Il LSI dà scüréi per Dalpe e scuréi per la Leventina. Il significato primo è certamente quello di scolaro, riportato dal LSI, da scüra = scuola. - (scürei, scurei)

Scüsè - Bastare, essere sufficiente. "I scüsi da par mi" = basto, mi arrangio da solo; "i scüsi senza" = "ne posso fare a meno".

Scussè, scossè (plur. scusséi, scosséi) - Grembiule. Da scòssa (v.).

Scutrignè - Confabulare, parlare a bassa voce, in disparte, secondo la mamma; origliare, secondo una cugina di Deggio. Ma entrambe non sono ben sicure. In ogni caso ha un senso di azione in segreto. Beffa dà per Nante scrutignè = complottare. Claudio Strozzi per Biasca dà scutrignaa = scrutare, guardare attentamente, curiosare. Il LSI dà solo squatrignè (Faido) = indagare di nascosto, esaminare minuziosamente, curiosare, e squitrinè (Rossura) = tendere l'orecchio, ascoltare con attenzione. La tipica parola di significato soggettivo!

Scuutì, scoutì - Ascoltare. 

- Sì (nel comune di Quinto, altrove mi pare si dica ovunque) -

- Sale. È femminile: la sè

Séc', plur. sic' - Secco. Sic'è = seccare, essiccare; più corretto di séc'è, ma "io secco" = "mi i séc'i". - (sec', sec'è)

Segna - Acquitrino, zona paludosa. Il termine, non più usato in dialetto a mia conoscenza, sembra essere più o meno sinonimo di bóla. Toponimi in Leventina e Vallemaggia.  Suppongo che Segno, che pure ricorre in Leventina e Blenio, sia un plurale femminile Segn reso erroneamente in italiano come singolare maschile. Probabile derivato: Sgnòi (Dalpe, Chironico).

Séijót, saijót - Singhiozzo. Airolo: sang'óz. Dalpe soijót secondo LSI. - (seijot, saijot, seisgiot, saisgiot, seisgiott, saisgiott, soijot, soisgiot, soisgiott)

Séira - v. Zéira. - (seira)

Sémpi - Semplice. Femminile: sémpia. - (sempi, sempia)

Sémpra, sémpro, sémpru - Sempre. (sempra, sempro, sempru) 

Sénda - Cengia, striscia erbosa che permette il passaggio lungo un dirupo, sentiero tra pareti rocciose. Dal latino sémita = sentiero. Anche in spagnolo, portoghese e romancio senda = sentiero, nel Moesano = "Grassband in Felsen", striscia erbosa tra rupi (RNB, II, p. 308). In uno scritto del 1270 trovo il termine "semeda" (MDT, RL, p. 76). Una Senda del ghiacciaio collega la capanna del Campo Tencia con il Passo di ghiacciaione verso la capanna di Sponda (ma il ghiacciaio è ormai lontano!). Mi pare di aver sentito senda o sendina per indicare i sentierini trasversali creati dal bestiame messo a pascolare su un prato in pendio: "l'éva 'na riva bèla valiva, adés l'é piena 't sendin" = "era un prato in pendio bello regolare, adesso è pieno di sentierini". - (senda)

Sèra - Stanza sotto il déi (Deggio), stanza dove si mette la mazza a seccare (A. Borioli, "Vecchia Leventina" p. 38, scritto serra). (sera)

Servìs, sarvìs - Schiumarola, mestolo forato per levare la ricotta (v. züfa, zigra) dalla caldaia (Jelmini "Glossario", che dà entrambe le varianti, Beffa, Lurati "Terminologia", che danno solo servìs per Airolo e la Val Bedretto). - (servis, sarvis)

Sésìt - Impietrito, esterefatto, incapace di muoversi per lo spavento o l'emozione (sesit, sesitt)

Séu - Sego. Grasso fuso di bovini, usato per fare candele. - (seu) 

Sfularmó, sfularmato - Infervorato, euforico, appassionato, entusiasta. "L'é tüt sfularmó par ..." = "È tutto infervorato per...". Beffa per Airolo dà solo fularmè = esaltare, infervorare. - (sfularmo)

Sgaluurì, sgaluvrì - Fare occhiolino tra le nuvole, detto del sole: "u sgaluurìs fò 'l só". La prima versione è di mia mamma, che però di solito dice sgarlüsì, la seconda dei cugini di Deggio. Stranamente non trovo nessuno dei tre sul LSI.

Sgandarlon - Spilungone. Il LSI dà anche sgarlandon per il circolo di Faido = ragazzo, individuo alto e magro, spilungone.

Sgarlüsì - V. Sgaluurì.

Sgartèija, scartèija, sc'artèija - Scardasso, attrezzo per cardare la lana, munito di punte di ferro parallele (Google Immagini). Oggi il termine è usato praticamente solo in senso figurato per bestia o persona (in particolare donna) magra, mingherlina. Sgartèija con la g, usato a casa nostra, forse è variante dalpese, così almeno lo dà il LSI. Lurati ("Terminologia" p. 146/173) dà sc'artéijè = "far fuori" la lana grezza, cardarla, lombardo scartegià, lavoro eseguito per lo più a mano dai ragazzi. - (sgarteisgia, scarteisgia, sgarteija, scarteija, sc'arteisgia, spinasc)

Sgarziè - Scalfire, graffiare. 

Sgnolè - Perdere il moccio (gnola); soffiarsi il naso  

Sgöbiàs (jü) - Chinarsi - (sgöbias, sgöbiass) 

Sgraviè - Strigliare (una mucca o altro animale) con la sgrèvia (striglia, stregghia)

Sgrüssa - Frana, scoscendimento, lo scavo da esso causato. Enorme la sgrüssa del Pizzo Lambro, in val Piumogna.

Sgrüvi - Ruvido, f. sgrüvia.

Sguarè - Scivolare. Sguaraton, sguarèda = scivolone - (sguareda)

Sialàta - Accetta a lama larga un tempo usata per tagliare la carne. Info: cugino di Deggio. Il VSI dà il termine solo per Quinto = mannaia del macellaio. 

Siarét - Accetta (piccola ascia). - (siaret, siarett)

Sic'è - Seccare, essiccare. V. Séc'.

Sicutérat - Come prima. "L'é sémpra sicutérat" = è sempre come prima, è sempre la solita solfa. Dalla frase della preghiera Gloria patri "sicut erat in principio..." 

Siè - Falciare. Ma "io falcio" = "mi i séi". Da cui l'infinito meno corretto séè.

Siéz (m.) - Falcetto. Piccola falce ricurva per tagliare l'erba, dice Beffa cit., e così anche mia mamma. L'AIS lo dà per Osco come termine per la "falce messoria" e anche Jelmini Glossario cit. dice "falcetto ricurvo per mietere" (prasì). (siez, siezz)

Signè, meno corr. ségnè (i mort) - Fare il segno della croce al morto con l'acqua benedetta. "Io segno" = "mi i ségni". Signàs = farsi l segno della croce. U (La) pò signàs cul gómbat = può farsi il segno della croce con il gomito: si dice di persona che ha avuto molta fortuna, per esempio uscendo incolume da un incidente o da altra situazione difficile.

Sintì - Sentire. Sintii = sentirci. Ma "io ci sento" = "mi ii sénti"

Sira - Sera. 

Sìu - Ascia, scure. Airolo: siü (Beffa op. cit). Plur. invariato. - (siu)

Slandra (pl. slandri) - Sgualdrina, puttana (lombardo). Slandràs (jü) = stravaccarsi, sdraiarsi o sedersi in modo scomposto. Slandró = stravaccato. - (slandras)

Slòfa - Dormire. Scherzoso, dallo svizzerotedeesco schlofe = schlafen.

Slóc - Sorso, sorsata, goccio. Dal ted. Schluck.

Slòia - Indolenza, svogliatezza. Secondo Lurati "Dialetto" cit. (p. 24 n.) viene da Lolium, loglio (una cui varietà e la nota zizzania) per le qualità soporifere di questa pianta erbacea. V. anche  poian, puian - (sloia)

Smanzè, manzè (z= ts) - Cominciare. "L'é gnè da smanzè méssa" = "non basta neppure per cominciare la messa", "è troppo poco".

Smèrsc (pp. smerjüt) - Precipitare in un dirupo, intendendo di solito con esito letale. In Magginetti-Lurati cit. si trova smarsc ("smarsg") nel dialetto di Biasca nel senso di cadere da un precipizio, ma senza necessariamente morire. Anche Beffa cit. per Airolo dà cadere, precipitare in un dirupo, senza precisare l'esito della caduta. 
Il LSI dà anche perdersi, per Faido, senso in cui lo intendevo un tempo anch'io. Secondo i libri consultati deriva dal lat. submergere, che però è verbo transitivo. Più verosimilmente viene dalla forma passiva submergi = andare a fondo, annegare. Usato anche in senso scherzoso: "i paissàvi squès che ti sévat smèrjüt", mi ha detto la mamma non vedendomi più uscire dalla Migros.- (smersc, scmersc)

Smétiga - Tecnica, nel senso di abilità, destrezza nel fare una cosa, "know how". Non solo lev.- (smetiga)

Sminè - Guardare (vardè) con attenzione o con insistenza. "Smina 'm bòt" = "guarda un po'" - (scminé)

Smöi - Ranno (= miscuglio di cenere e acqua bollente usato in passato per lavare i panni). L'ho sentito usare dalla mamma con riferimento alla sua infanzia, quando la cenere era però già stata sostituita da più moderno detersivo ("lassiva").

Smòrbi - Agg.: irrequieto, focoso, voglioso, pieno di energia. Si dice di animale e anche di persona. Nel caso di persone Jelmini "Glossario" traduce tuttavia testone, restio all'ubbidienza o ad accettare consigli. Sost. m.: irrequietezza, voglia, anche con una connotazione sessuale: fè passè 'l smòrbi. - In Lombardia è utilizzato nel senso di spipro (v.). Dal latino morbidu(s) = malato, secondo Lurati "Terminologia" cit, che dà pure il verbo smorbiè per vacca eccitata in calore o alla prima uscita primaverile (p. 52).- (smorbi, scmorbi)

Smorégia, smurégia - Forbicina, forfecchia, Forficula auricularia (it.wikipedia - foto Google): insetto noto anche come "forbiseta". Non sono sicuro che sia davvero smorégia e non eventualmente asmorégia. Il nome ha verosimilmente a che fare con oregia = orecchio, come indica anche il nome latino: "In passato si pensava che questo insetto penetrasse nell'orecchio umano e facesse il suo nido all'interno del cervello con effetti devastanti, da qui il nome latino della specie" (it.wikipedia). In tedesco si dice Ohrwurm, in francese pince oreilleperce-oreille, in inglese earwig. - (smoregia, smuregia, asmoregia, asmuregia)


                                                                            Smorégia - foto Tabasio 


Snabùz - Stivali (dall'inglese americano snow boots), non solo lev.. - (snabuz, snabuzz, schnabuz, schnabuzz)

Snüfiè  - Tirare su e giù col naso,  quando si è raffreddati. Onomatopeico. Forse dal tedesco schnupfen o schnüffeln, o dall'inglese to sniff = annusare.

Sòca - Gonna. Padre Angelico Cattaneo ("I Leponti" cit., I, p. 18) scrive: socca = veste, da xocca, voce già usata in Italia nel 1254. Ludovico Antonio Muratori nella Dissertazione XXV  "sopra le antichità italiane", Milano, 1837, riferisce: "Odasi ora Ricobaldo, che circa l’anno 1290 descriveva le usanze degl’Italiani. Virgines (dic’ egli) in domibus patrum tunica de pignolato, quae appellatur sotanum, et paludamento lineo, quod dicebant xoccam, erant contentae."
- Dunque, se capisco bene, le vergini nella casa paterna portavano un manto di lino detto xocca. Forse da Sagum, come anche socco e saio. (soca)

Soga, suga - Corda doppia, lunga parecchi metri, fatta con cinque striscie di pelle fatte seccare e intrecciate, utilizzata in particolare per tenere insieme il mazzo di fieno da portare sulle spalle e fissata con il cönc (cöng, cöngh), sorta di cuneo di legno duro con due fori, uno più piccolo e uno più grande -> cönghè = fissare la soga con il cönc. Airolo: sua. Per info più precise v. Vicari cit. p. 240-241.

Sóija - Strutto (grasso che si ottiene facendo fondere a forte calore i tessuti adiposi del maiale), utilizzabile in cucina, come lubrificante e anche per fare candele (Jelmini, "Glossario" cit.) - (soija, soisgia)

Sòra - Suola - (sora)

Sorè - 1) Rafreddarsi 2) (fig.) Sbollire, calmarsi: "se l'é rabió u bé pö sorè".

Soréi, suréi - Stanza sotto la stüa (Deggio). Dal lat. solarium (Bontà cit. p.12)

Sóri (foto) - Sobrio, comune di montagna della Bassa Leventina, l'ultimo della cosiddetta Travèrza (it. Traversa) (it.wikipedia ) (de.wikipedia ) (sito web ufficiale), formato dalle due frazioni di Villa (l'abitato principale) e Ronzano. Sóuri in dialetto locale. Forse dal latino "superior" = che si trova più in alto, dice il DTS. Nei documenti antichi Suurio (1227), Surio, Subrio. Da' un'occhiata al piccolo vocabolario online del DIALETTO DI SOBRIO estratto dal bel libro "I racconti dell'acero" di Bruno Giandeini (v. Bibliografia), molto interessante per notare le differenze con i termini riportati in questo dizionario. A cura della  Associazione attinenti e simpatizzanti di Sobrio AASS. Soprannome degli abitanti: Gat (Gatti). - (Sori, Souri, gatt)

Sorìu, surìu - Solatio. A sorìu: a solatio, contrario di a l'ovi. (soriu, suriu)

Sormàn - Abile, nella locuzione vés sormàn, usata per indicare il tenere con le due mani un attrezzo (scure, pala, forca, rastrello, o anche un bastone da hockey) dalla parte che viene naturale (per esempio con l'estremità verso sinistra). In senso più generico: avere facilità a fare un lavoro da una certa posizione. Di solito è impiegato in frasi negative: "i sem mia sorman da chela part ignö a..." = non sono abile a... da quella parte". - (sorman)

Sört - Quota, aliquota, letteralmente "sorte". 1) Quantità di legna minuta che il patriziato assegna a sorte ai suoi membri dopo un taglio di bosco, suddivisa in parcelle assegnate a sorte (Jelmini cit.) > fè fò la sört = ripartire e sistemare questa legna; 2) Quantità di formaggio spettante a ogni boggese in proporzione al latte prodotto dalle sue mucche sull'alpe (Beffa cit., Lurati "Terminologia" p. 133 > fè fò i sört = ripartire il formaggio a fine stagione, con il sistema della mér (v)).

Sosnè, susnè - Governare il bestiame (lat.: sustinere); fig.: dare una lezione a qualcuno. - (soscnè)

Sost - 1) Coperto, riparato dalla pioggia: "Stè al sost" = stare al coperto. 2) Asciutto, senza pioggia: "sperém cu stèi sost" = speriamo che non piova, "l'é sost" = non piove. Anche figurato: stè al sost = stare al riparo, in condizioni di sicurezza (p. es economica).

Sosta - Tettoia, piccola costruzione munita di tettoia.

Soudèt, saudèt - Soldato. Plur. in genere invariato, anche se corretto sarebbe soudìt, saudìt. Airolo: suudèt, plur. suudìt - (soudet, saudet, suudet) 

Spadè (sost. m.) - Ospedale. Ma spadè da Val indicava un ospizio a Valle, presso Airolo (da "hospitale": ostello, luogo dove si alloggiano gli ospiti, i forestieri) . U spadèron = l'ospedale distrettuale di Faido (ma si dice ormai più spesso ospédalon, uspédalon).

Spampézzia - Tipico dolce leventinese, compatto, con ripieno di noci. Originario della Media Leventina è diventato una specialità locale anche a Dalpe. Scritto in genere spampezia. Uso la zz per indicare la pronuncia zz = ts. Al riguardo v. l'opuscolo "Crèfli e spampezie, due specialità leventinesi", Giornico, Museo di Leventina, 1993, 41 pp., e l'articolo Spampezie (Panspezie) sul sito Kulinarischeserbe.ch.- (spampezzia, spampezia, spampezi)

                                                                             Spampezzi - foto Tabasio
 

Spandiè - Spandere, sparpagliare, in particolare l'erba appena falciata per farla essiccare al sole (operazione della fienagione), ma anche il letame o la ghiaia.

Spanè - Spennare, spiumare. Spanó = spennato, per estens. calvo, stempiato.

Sparzè - Perforare, trapassare. Airolo: divaricare (Beffa op. cit.). Meno usato, mi sembra: parzè.

Sparüsc (sost.) - Persona coi capelli arruffati. Sparüsció (agg.) = arruffato, più forte di scavió = spettinato. Il LSI dà sparlüsció, mai sentito.

                                                                                     Sparüsc


Spaventascìs - "Spaventarapaci", equivalente leventinese dello spaventapasseri, posto un tempo in prossimità dei pollai per tenere lontano "u scis" (v.). Si dice anche di persona magra o/e malvestita. "Ti pèrat um spaventascìs" = sembri uno spaventapasseri. - (spaventascis, spaventasciss)

Spavi - Timido, pauroso, che non si lascia avvicinare (di animale, per est. anche di persona schiva, poco socievole, introversa, "selvatica"). Airolo: spèvi.

Spaz  - Spazzo, unità di misura per lunghezze, superfici, volume, di valore variabile in Ticino secondo le località, indica Vicari cit. p. 203. Bontà cit., alla voce Clàfter (= 4 metri cubi, v.), che è una unità di misura per la legna, dice che "lo spaz nostrano" ha una base di 1,92 x 1,92 e un'altezza di 0,75 m. Le stesse misure riporta Beffa cit.

Spèng'a - Spanna  - (speng'a, spenghia)

Spia - Spiga. 

Spilandra - Filo di liquido che sgorga, in particolare il getto di latte che esce dalla mammella durante la mungitura (v. Lurati cit., che lo fa derivare da spillare = zampillare). Jelmini ("Glossario Piora")  dice invece "filo d'acqua (che da un rubinetto esce nella fontana) o di latte, tipico della vacca che sta per süiè" (cessare la produzione di latte con l'avvicinarsi del parto). In Vicari cit. (p. 264-267) il termine è usato da un abitante di Varenzo per indicare il "rivolo di  linfa che sgorga dalla betulla dopo aver preticato un foro nel tronco: v. süi. Per Airolo Beffa cit. dà filandra = fiotto, getto di latte che esce dal capezzolo.

Spin - Strame di aghi di conifere. Fè spin = raccogliere gli aghi di conifera.

Spina - Rubinetto: béu (böu) dala spina = bere dal rubinetto.

Spinàsc - V. Sgartèija

Spindra - Ragazza birichina, sfrontata. 

Spipro, spipru, accr. spipron - Difficile nel mangiare, schizzinoso, schifiltoso. Associato dai genitori a "trop tés" (= troppo sazio). In Lombardia dicono smorbi, che in leventinese ha un altro senso (v.). Contrario: da boca bona, scrive Franscini nel so dizionarietto cit.. Spiprögna = la qualità (si fa per dire) di chi è spipro. 

Spizzürlo, spizzürlu - Schizzinoso, di gusti difficili. Io dicevo spüzzurlo, ma pare che sia più giusto con la i. 

Spòtic - Subito, chiaro e netto, senza bisogno di discutere, in espressioni come ii l'ho diç spòtic = gliel'ho detto subito chiaro e netto. Così mia mamma. Beffa per Airolo traduce: definitivamente, per sempre: um l'a diç spòtic = me lo ha assicurato per certo, sicuro, vero. Il LSI lo dà come aggettivo alla voce dispòtigh = dispotico, autoritario: energico, risoluto; chiaro, franco, schietto.

Spratè - Zampillare, spillare, scaturire, schizzare, sgorgare (di liquido); guizzare, scattare, balzare, sgusciare (di animale o persona). Spratè im péi = balzare in piedi. Fig. per una persona: avere uno scatto d'ira: i sem sprató.

Sprégnachè - Tribolare in un lavoro. Sentito dalla mamma. Beffa per Airolo dà sprignachè = arabattarsi, armeggiare ostinatamente, affannarsi, con il sostantivo sprignachèda. Interpellata sulla differenza, la mamma ha qualche dubbio tra é e i.

Sprüi - Sporgenza rocciosa sotto cui è possibile trovare riparo. A Dalpe: sprüc, usato tuttavia, oggi almeno, nel senso generico di dirupo: nè sü pai sprüc , forse in affinità con nè sü pai sbric (v. bric, sbric) Dal latino spelunca > speluca = spelonca, dicono gli specialisti. Ma non mi pare sia usato nel senso di caverna.

Spuscignè - Spingere, urtare con il gomito, dar di gomito, dice la mamma. Il LSI (> spuncignà) dà sposcignè per Dalpe = toccare, urtare, spingere, senza parlare di gomiti. 

Squès - Quasi. Squès squès = quasi quasi. - (sques)

Stachéta - Chiodo per ferrare le suole degli zucrói (v.) per impedire loro di scivolare su neve e ghiaccio. Plur. stachét. (stacheta, stachet, stachett)

Stachétè - Ironizzare in modo mordace, pungente, punzecchiare, rispondere per le rime. Stachétós = mordace, pungente. Da stachéta (v.). - (stachetos, stachetoss)

Stafa - Bicchiere di vino da un decilitro.  

Stala - Pianterreno della casa leventinese, in sasso, adibito spesso a pollaio, ricovero per capre, legnaia, indica Beffa per Airolo. Io non l'ho mai sentito in questo senso. Stalla di dice téç (v. anche stalon). Beffa dà anche stalèta = piccola stalla senza parte inferiore (zotint), usata un tempo come fienile provvisorio (il fieno era poi trasportato a valle d'inverno con la slitta).

Stalon - Grande stalla "moderna". Termine utilizzato invece del normale accrescitivo tecion, e non soltanto in anni recenti (già quando mia mamma era giovane), per indicare le stalle "moderne", più grandi dei vecchi tiç (v. téç). Anche le grandi stalle d'alpe sono dette stalói. - (staloi)

Stalvédru - Stalvedro. Di solito si intende la gola a valle di Airolo. Sulla cartina è però indicato il piano immediatamente sotto, dove si trovano alcune stalle. Secondo le fonti consultate il nome deriverebbe da "hospitale" (ostello, luogo dove si alloggiano gli ospiti, i forestieri), oppure da "stabulum" (stalla, ma anche osteria, locanda con stallaggio), unito all'aggettivo "vetus, veteris" = vecchio. Dunque "ostello vecchio", "vecchia osteria", oppure "vecchia stalla", "vecchio stabbio" : v. stèbi. Il solo vecchio ospizio per viandanti di cui ho notizia nella zona è l'Ospitale (spadè)  di Valle, aperto nel Medio Evo sulla mulattiera che passava allora appunto per Madrano e Valle (v. "Airolo" pp. 94-95 e p. 101). Non so se ce ne fosse in precedenza uno nel piano sopra indicato. Stabulum vuol dire anche bordello, ma dubito che ce ne fossero a Stalvedro...

Stanzi (sost. m.) - Costruzione mista, tipica dei maggenghi, comprendente l'abitazione, la stalla e il fienile. Termine un tempo in uso in tutta la Leventina, dice Fransioli "Ordini" cit. Il LSI lo dà per Airolo = cascina sui monti. 

Starg'éi - Vicoletto di paese, a Dalpe, sinonimo del quintese strécia o più anticamente traséna (v.). Nè pai starg'éi = andare a zonzo, gironzolare oziando (LSI).

Starlè - Diminuire la produzione di latte, prima del parto o per altro motivo (costruz. personale: la vaca la stèrla). Da una airolese l'ho sentito anche dire per le galline che cessano temporaneamente la produzione di uova: i g'alin i stèrlan. Ad Airolo si dice inoltre di sorgente che inaridisce (LSI).

Starlét - V. stèrli

Starlüsc - Lampo, saetta. Starlüscè = lampeggiare, apparire lampi in cielo.

Starnüm - Strame di aghi di abete (Fransioli, "Ordini" cit.). Il LSI lo dà a Dalpe, oltre che nel circoli di Faido, a Biasca e in Valle di Blenio. Dovrebbe corrispondere a spin (v.) o event. a ströi (v.).

Stàuzza - Fieno vecchio, duro, marcio che resiste allo sfalcio (LSI, che lo dà solo a Calpiogna e Rossura, ma è usato anche sopra il Piottino perlomeno a Deggio). V. anche Tàuzza. - (stauza, stauzza)

Stèbi - Stazzo, stabbio = recinto all'aperto, per lo più fangoso, dove si raccoglie il bestiame durante la notte sull'alpe. Jelmini cit. e Beffa cit. lo danno come sinonimo di gras (v.). Lurati, nella sua "Terminologia" bedrettese dà stèbi per designare l'insieme costituito dalle costruzioni di un alpe e il terreno all'aperto dove la mandria è riunita per la mungitura o per passare la notte.  Lo dà inoltre come equivalente di cort (v. = stazione dell'alpe). Beffa cit. lo dà ad Airolo nel senso di cort (v.) e gras (v.). Dal latino: stabulum. - (stebi)

                                                                        Stèbi alpe Géira (Dalpe) - Foto Tabasio


Stéi - Staio, misura di capacità corrispondente a circa 10 litri (Jelmini, "Glossario" cit.). Nel glossario in appendice a Borioli "Vos" cit. trovo l'espressione a tüç i stéi = a ogni costo.

Stér - Stero, misura di capacità utilizzata in Leventina per la legna. Corrisponde attualmente a un metro cubo. Un tempo 2,4 m3 dice Beffa cit.

Stèrli (plur.) - Vitelli e giovenche (giovenca = bovina giovane che non ha ancora figliato e quindi non dà latte). Sing. stèrlu secondo Jelmini nel Glossario di Piora cit.; a me pare di aver sempre sentito stèrla . Anche Beffa e Franscini cit. lo danno al femminile. C'è anche il diminutivo starlét, plur. starlìt e il verbo starlè.  - (sterla, sterlu, sterli, starlet, starlit, starlett, starlitt)

Sti - Gocce che scendono dal tetto quando si scioglie la neve o dopo che ha piovuto. Nè a sti = sgocciolare, detto dei tetti quando la neve si scioglie. Franscini cit. scrive still - che mi pare si dica anche a Dalpe - e traduce "gocciola d'acqua che entra in casa per entro le tegole" quando sono rotte o sconnesse. Il LSI dà sti (Quinto. Airolo), still = stillicidio. Dà inoltre sti = paletto per recinzioni, senso in cui no l'ho mai sentito. (sti, stil, still).

Stichè - Centrare, colpire nel segno. Fig.: azzeccare, indovinare: i l'ò stichèda = l'ho indovinato.

Stòfi - Stufo (ad Airolo, altrove si dice stüf - v. - come in tutto il Ticino). - (stofi)

Stop - 1) Sost.: Tana di marmotta. Beffa cit. per Airolo lo dà anche per tana in genere, pur precisando "tana di marmotta in particolare". Lo dà inoltre nel senso figurato di casa, rifugio. Bontà cit. (p. 10) riporta stóu = tana di marmotta e, scherzosamente, il giaciglio stesso dei montanari, facendo derivare stou dal tedesco Stollen (= galleria, tana). Toponimo: alpe di Stou presso Molare. 2) Agg.: Turato, otturato, ostruito, intasato: l'é stop u déstru! = il gabinetto è intasato!


                                                                       Stop, alpe Géira (Dalpe) - Foto Tabasio

 

Störgno, störgnu - Pavimento. Da sternu secondo Sganzini cit.. Nel latino classico sternere vuol dire tra l'altro ricoprire il suolo, pavimentare, lastricare. 

Stòuç - Testardo, cocciuto, ostinato. Dal tedesco störrisch, con lo stesso senso, o stolz = orgoglioso, fiero? O da stolto (Lurati, "Terminologia", p. 176)? Oppure da stolco = fagiano di monte (Gr. Diz. Battaglia), fagiano nero (REW 8273b), o più probabilmente gallo cedrone, urogallo? Marzio Barelli, nel suo bel libro "Fauna sorpresa" (v. alla pagina ANIMALI), pp. 105-113, dice che fino all'Ottocento in Ticino (ma non solo, ndr) erano chiamati "stolgi" o "stolci" gli urogalli o galli cedroni, Tetrao urogallus (foto Google) , grossi uccelli che - racconta - ogni tanto impazziscono letteralmente nella stagione degli amori, diventando imprudentemente e ostinatamente aggressivi, anche conto l'uomo (v. anche it.wikipedia). Posso supporre che in dialetto leventinese si sia detto stòuç al posto dello stòlc e simili documentati più a sud (v. LSI, Monti cit., REW 8273b, che dà anche stolç). L'ipotesi di stòlç, stòuç = testardo come epiteto derivato da stòlç, stòuç = urogallo non mi sembra così farfallesca a prima vista... Anche l'etimologia di stolco appare incerta: forse il ted. Storch secondo etimo.it, ma REW non è d'accordo. Se fosse una distorsione di stolto, aggettivo che sembra addirsi dell'uccello? - (stouc, stouch, stoucc, stolc, stolcc, stolch)

Stouciögna, stoucisia - Testardaggine. V. Stòuç.

Stòuta - Quest'anno. Stòuta = sta òuta = questa volta. Anche stu bòt  - (stouta, outa)

Strabauzzè - Avere (forti) sbalzi, per esempio, per una mucca,  nella produzione di latte (senso raccolto a Deggio). Jelmini in Glossario cit. dà = tardare oltre il normale a partorire: "strabauzzè d'un més" = essere in ritardo di un mese. Il LSI dà "battere a intermittenza", detto del polso (Rossura). Beffa cit. (Airolo) non dà il verbo ma solo strabàuz = sobbalzo, scossa.

Stragè - Versare, spandere involontariamente: stragè 'l lèç (il latte). 

Stramàz - Sconsiderato, scriteriato, temerario, folle, imprudente, scervellato e simili (agg. e sost.). Si dice per esempio di un pirata della strada o delle piste da sci. Un tè stramaz da vügn = un tipo poco affidabile, per le "qualità" sopra elencate. (stramaz, stramazz)

Straquintìt - Molto meravigliato, sbalordito, esterrefatto.  Lo dice mia mamma. Sul LSI non lo trovo alla voce stracüntà. Beffa dà per Airolo straquéntó e strac'üntó. (straquintit, straquintitt, straquento).

Strasórdan (pronuncia -nn) - Avvenimento fuori dall'ordinario.

Strasì - spaventarsi. Strasìt = spaventato, come sost. anche persona molto timida: un tè strasit da (v)ügn = un timidone. Légn strasìt: legna di alberi sradicati dalla valanga; si dice che non bruci bene. - (strasit, strasitt)

Stravarg'è - Distorcere, stravolgere, riferire le parole di qualcuno in modo distorto. Manza stravarg'èda = bovina che partorisce solo al quarto anno invece che al terzo come normale. Ho raccolto questi due sensi a Deggio. Beffa cit. dà stravarg'è = distorcere, essere strabico. Il LSI dà stravarg'ó, stravalgó = strambo, balordo, stravagante (Airolo, Quinto), Beffa cit. = distorto, stravolto, di persona che fa le cose stranamente (Airolo). Alina Borioli, nella bella poesia-racconto "Bèta da Lürenc'", parla di scérvél stravarg'ó = cervello stravolto (trad. nel glossario). Nel suo dizionario milanese-italiano Cherubini dà stravargà = perdere in bontà e bellezza per troppa maturità, e stravargàa, stravalgàa = sfiorito (roeusa stravargada = rosa sfiorita). Egli ipotizza che stravalgà venga dall'italiano (ottocentesco) stravalicare, varcar l'età ecc., senso che va bene per la manza stravarg'èda. L'italiano odierno travalicare, con varianti travalcare, travarcare (De Mauro), significa valicare passando oltre e anche passare da un discorso, da un ragionamento all'altro, sensi che richiamano quelli figurati citati qui sopra (oltrepassare il normale comportamento, uscire di senno, stravolgere). (stravarghiè, stravarghio')

Strécia - Vicolo tra le case di un villaggio (v. anche traséna). A Dalpe dicono starg'éi (v).  Strécion = bighellone. - (strecia)

Strèdia (plur. strèdi) - Trave che forma il pavimento del fienile. - (stredia, stredi)

Stréisc - Stringere. Ind. pres. mi i stréiji ecc., part. pass. stréijüt. A Dalpe striisc, mi pare.

Strénç - Stretto (agg.).

Stria - Strega. La Leventina ha avuto due belle ondate di caccia alle streghe, nel 1457-59 e poi ancora nel '600. Di questo secolo si ha notizia di ben 257 procedimenti giudiziari intentati dal Tribunale dell'inquisizione di Faido, contro 281 persone accusate di "stregheria" o eresia, 174 dei quali portati fino alla sentenza finale (v. Matteo Scanni, cit.). Diverse le "streghe dell'alta valle condannate alla decapitazione e all'"abbruciamento", e anche qualche "stregone" (tra parentesi l'anno della sentenza): Berta Bacco (Bacchi) Cornone (1618), Margherita Pedroli, Altanca (1619), Anna Gianino (Giannini), Deggio (1622), Catterina de Croce, Quinto (1636), Anna Bullet (Buletti?), Quinto (? Scanni p. 298 dice Cuzonia = Chiggiogna) (1636), Catterina Giambone  (Giamboni), Fiesso (1636), Anna e Catterina Bacco, Cornone, figlia e abiatica della sunnominata Berta (1637), Filippo Frippo, Airolo (1651), Catterina Sartor, Ambrì (1655), Elisabetta Leventine, Valle (1656) (Lista in Baroffio cit. pp. 364-65).  Nel 1613 Anna figlia di Marti Croce, moglie di uno Jurieto (Jurietti) detto Ambrosino di Catto, è invece rilasciata, non essendo stato possibile estorcerle una confessione nonostante le atroci torture (P. Angelico, "I Leponti", p. 273-74). Sul tema v. le note bibliografiche alla pagina BIBLIOGRAFIA - (strega)

Ströi - Strame (paglia, aghi di conifera o foglie secche) per il giaciglio degli animali nelle stalle (lettiera). Dallo sv. ted. Streue (ted. Streu) = strame, lettiera, paglia, o da Stroh = paglia (E. Bontà, op. cit.). Lurati ("Terminologia" p. 116) lo dà nel senso di giaciglio dei fanti sull'alpe e di lettiera nella stalla, in Val Bedretto, da cui il senso figurato scherzoso, ad Airolo, di "letto": nè i lu ströi = andare a letto (Beffa cit.). IL LSI dà anche "sporcizia" per Quinto. Tuttavia non qualsiasi sporcizia: fè jü ströi = lasciar rimasugli o briciole per terra, per esempio mangiando un panino o una fetta di torta, oppure facendo un lavoro. Outè, uutè fò ströi = tirar fuori rogne, seminare zizzania.

Ströisc - V. ströijè

Ströijè - Calpestare l'erba; est. sprecare, sciupare. Penso venga da tröisc  (v.), oggi voce morta, via ströisc, sostantivo sentito a Deggio nel senso di erba pestata, traccia lasciata nell'erba. Airolo: stradiè.  - (ströisgè)

Stròpa - Stringa, cordoncino per allacciare o stringere gli indumenti. Beffa cit. per Airolo dà ströp (s. m.) = pezzo di corda, legaccio. (stropa) 

Stroz (sost. e agg.) - Magone, "immagonato". "L'é gnö tüt stroz" = "è tutto immagonato, triste, angosciato" .

Struàl (plur. struài) - Stivale - (strual, struai)

Strübanàs (sü) - Vestirsi (scherzoso). - (strübanas, strübanass)

Strubanè, strübanè - Affaccendarsi, arrabattarsi, trafficare, darsi da fare. Più o meno sinonimo strüsè.

Strüsè - Affaccendarsi, trafficare, armeggiare, rovistare. V. sotto Strüson.

Strüson - Sorta di erpice per frantumare in primavera il letame sparso in autunno e appianare i mucchi di terra delle talpe. Strüsonè = erpicare. Ma il LSI non lo dà. Beffa per Airolo dà rispettivamente strüsa e strüsè. In senso figurato strüsè = affaccendarsi, in lavori o altre occupazioni di cui non si vede bene il risultato, trafficare, da cui strüson = faccendone, trafficone.

Stüa, stüva - Soggiorno, locale di casa riscaldato dove si trascorre la giornata. Stufa si dice pigna, (e pigna si dice vacòia). Ho sempre pensato che derivasse dal tedesco Stube, che ha lo stesso significato. Scrive tuttavia don Remo Bracchi, rinomato professore di glottologia e specialista di dialetti, a proposito del termine che si ritrova anche nella sua Valtellina:  "Il termine sc'tùa 'stanza foderata in legno, mantenuta calda dalla presenza della stufa in muratura, la pìgna', che qualche autore vorrebbe derivare direttamente dal ted. Stube 'stanza riscaldata', è attestato come continuatore di un'eredità autoctona lungo l'intero arco della parabola documentaria nelle sue diverse variazioni stup(h)a, stufa, stuva, sulla base delle quali è da interpretarsi come un deverbale del lat. tardo extupare 'riscaldare a vapore, esalare fumo', dal gr. thyphos 'fumo, vapore'" (in Bormio.lombardiastorica.it). La parola, attestata in forme simili dalla Spagna all'Inghilterra alla Scandinavia alla Russia, potrebbe avere questa origine comune. Resta da vedere se in Leventina sia arrivata o no mutuata dal tedesco.

Stüà - Cancan, casino (non solo lev.): "met jü 'n gran stüà par nóta". Senso primo: stufato (Beffa op. cit., che per Airolo traduce "mét jü stüà" con "comportarsi con sussiego, darsi arie, complicare le cose").

Stüblì - Uccidere, macellare secondo il LSI, che dà il termine solo per Robasacco, ma a me ronza da un pezzo nella testa con un significato simile ("it stüblissi!" = it mazzi", "ti uccido") e mi chiedo dove possa averlo imparato, non essendo mai stato a Robasacco. Leggendo la storia del bandito leventinese Costantino Genotti (v. Janòt) ho pensato che probabilmente "it stüblissi" era la minaccia nel dialetto locale dei briganti del Monte Ceneri quando ingiungevano ai viaggiatori di consegnare la borsa; una minaccia poi riferita dai derubati a chi voleva ascoltarli lungo la strada (la diligenza passava per la Leventina) e rimasta nella memoria collettiva. Forse lo stesso Genotti usava il verbo quando rimpatriava. - (stubli)

Stüdi (sost. m.) - Resti di fieno rimasti sul prato già rastrellato. Una cugina di Deggio mi racconta che un tempo - quando il fieno era più prezioso di oggi - si passava con una sorta di grembiule, in cui si raccoglievano le manciate di pagliuzze raccolte qui e là...

Stüéta - Camera vicina alla stüa (v.) - (stueta)

Stüf - Stufo. Stüf müf = arcistufo. Stüfiéuro, stüfiéuru = noioso. Ad Airolo: stòfi - (stofi, stüfieuro, stüfieuru)

Stügiarè - Scivolare sulla neve o sul ghiaccio come pattinando, per esempio quando si scende da una montagna su un residuo di slavina. Beffa dà sc'ügiarè (shc'-) per Airolo e sügiarè per Fontana traducendo "slittare per divertimento" e indicando slitè come neologismo. Vicari scrive s-ciöugiarè per Deggio (Quinto) in ugual senso. Da me interpellata, la stessa persona registrata da Vicari mi dice dapprima sc'ügiarè, poi sc'üugiarè, mentre suo fratello opta per sc'öugiarè! Entrambi nel senso di slittare sia con la slitta sia con i piedi. Il LSI dà ancora altre varianti come sc'öjarè e s'ciougiarè (Quinto), s'ciöjarè e s'ciöugiarè (Osco). Stügiàrè lo da per Quinto, Calpiogna , Faido, mentre dà stügérè per Dalpe. Traduzioni: scivolare, sdrucciolare, slittare, pattinare. Dà inoltre stügiarèda (stügérèda per Dalpe). V. anche alla voce Sc'ügiarè.

Sturléè, sturliè (fò) - Capire, arguire, estrapolare; inventare, ideare, concepire, creare. "U ià votant'ègn passéi ma ti é da vidé cus u sturléa amò fò cul compiuter" = "ha più di 80 anni ma devi vedere che cosa sa ancora inventare con il computer", dice la mamma di suo fratello. Potrebbe forse corrispondere all'italiano "strologare" (aferesi di astrologare), nel senso figurato di "lambiccarsi il cervello per risolvere un dubbio" , "cercare di indovinare, di dedurre qualcosa dagli indizî esistenti" (Treccani).

Stüsc - Stelo legnoso e cavo della buugiaca (v.), surrogato della sigaretta per i ragazzini di un tempo. Cannuccia legnosa ricavata da altre erbe, precisa il LSI, che traduce anche cespo d'insalata (Dalpe) e ceppo della vite (Dalpe), strano quest'ultimo, non essendoci vigne nella regione.

Suandè - Coccolare. Il LSI dà anche assecondare, essere indulgente, concedere, trattare o servire bene, curare, nutrire.

Suarnóm - Soprannome. Airolo: suarnéri (Beffa cit.). Ormai sostituiti da soranóm - (suarnom, suarneri) -> v. alla pagina SOPRANNOMI: ABITANTI E FAMIGLIE 

Sücìna - Siccità (dial. TI) - (sücina)

Süenda - Risina = sorta di scivolo fatto di tronchi d'albero o in terra battuta che veniva usato - non so fino a quando - per far scendere a valle il legname diboscato; "sovenda" in italiano ticinese -> Elvetismi - S. ll LSI dà il termine per Quinto, mentre dà seguenda per Dalpe. Non l'ho mai sentito personalmente, ma la mamma pare averne un vago ricordo. V. anche Tarciü, tarciüi alla lettera T.

Süi - Succo, linfa.  Dagli anni '20 fino agli anni '80 a Varenzo si faceva colare il süi di bédri (linfa delle betulle), che, venduto, serviva poi per la produzione di cosmetici per i capelli (Vicari pp. 263-267 -->  resinaDosi.pdf).

Sunài - 1) Campanella 2) Idiota: "maladétu sunai". - (sonai, sunai, maladetu sunai)

Suprassè, soprassè - Stirare. Fèr da suprassè = ferro da stiro.

Sürè - Fischiare (lat. tardo subilare secondo Sganzini cit., latino classico: sibilare). Sür = fischio. Sürél = fischietto.

Surfanó - Satollo, strapieno (v. anche tüsaró). - (surfano, tüsaro)

Surisció - Agitato, in ansia, eccitato, nervoso (detto di persona o animale). Femminile: suriscèda. - (suriscio surisceda)

Svata - Collare di cuoio per appendere il campano. Può valere anche per cinghia in generale (Jelmini, Glossario Piora cit., che dà anche sciuàta, termine unico dato da Beffa cit. per Airolo = cinghia di pelle, cintura. Beffa dà anche tirè i sciuat = tirare le cuoia, morire. L'AIS per Osco dà sfata = collare della mucca (cartina 1201). Bernardi cit. dà per Lodrino svata = lista di cuoio degli zoccoli per tenere fermo il piede. - (sciuata)

Svìzzar - Svizzero. Svizzar rafèç = svizzero naturalizzato, "svizzero di carta" (letter. svizzero rifatto). - (svizzar rafecc)


ABCC' DEF GIJLMNOPQ R STUVZ